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E-bike a idrogeno: innovazione promettente o illusione sostenibile?

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All’inizio sembrava solo una delle tante idee stravaganti provenienti dal mercato cinese, capace di sorprendere per la sua creatività, ma anche di far storcere il naso per la distanza culturale e industriale rispetto agli standard europei. E invece le e-bike a idrogeno stanno cominciando a ritagliarsi uno spazio reale anche nel nostro mercato, suscitando un […]

All’inizio sembrava solo una delle tante idee stravaganti provenienti dal mercato cinese, capace di sorprendere per la sua creatività, ma anche di far storcere il naso per la distanza culturale e industriale rispetto agli standard europei. E invece le e-bike a idrogeno stanno cominciando a ritagliarsi uno spazio reale anche nel nostro mercato, suscitando un acceso dibattito tra entusiasti e scettici. Un confronto che mette in luce sia le potenzialità di questa tecnologia che le sue attuali criticità. Come sempre, la chiave è informarsi e farsi un’opinione consapevole, senza pregiudizi.

Cos’è una bici a idrogeno?

Si tratta di una bicicletta elettrica alimentata da idrogeno, che non utilizza batterie al litio. Il modello più noto è la Hyryd Sport Bike 1.0, sviluppata dall’azienda cinese Youon e distribuita in Italia da Remoove, realtà trentina attiva nella mobilità sostenibile.

La bici si ricarica utilizzando 400 ml di semplice acqua del rubinetto e promette un’autonomia di circa 60 chilometri. Il cuore del sistema è una cella a combustibile da 300 watt che, attraverso un processo di elettrolisi, estrae idrogeno dall’acqua e lo immagazzina in una cartuccia da 40 grammi a 10 atmosfere di pressione. Questa cartuccia alimenta un motore brushless da 180 W integrato nel mozzo posteriore.

Il kit domestico incluso nella vendita permette di produrre l’idrogeno direttamente a casa in circa 5 ore. Nessuna presa elettrica per ricariche notturne, nessuna batteria da sostituire o smaltire: solo acqua, una stazione di produzione e un sistema di stoccaggio.

I vantaggi: praticità e impatto ambientale

Uno dei principali punti di forza è proprio l’assenza della batteria: niente litio, nessuna necessità di infrastrutture di ricarica, costi di gestione potenzialmente inferiori nel lungo termine. Il sistema, inoltre, non produce emissioni durante l’utilizzo e riduce significativamente l’impatto ambientale legato all’estrazione e allo smaltimento delle batterie tradizionali.

Dal punto di vista tecnico, la bici è ben equipaggiata: telaio in alluminio, forcella ammortizzata, cambio Shimano a 7 velocità, freni a disco anteriori e posteriori, per un peso complessivo di 23,5 kg. Il prezzo? 4.800 euro + IVA, comprensivo del kit di produzione domestica.

Le critiche: costi, efficienza e prestazioni

Nonostante i vantaggi, non mancano le perplessità. Il primo nodo è proprio il kit domestico, che pesa 18 kg e consuma energia elettrica per produrre idrogeno attraverso l’elettrolisi. Un processo che, secondo alcuni esperti, ha un’efficienza energetica bassa: l’energia impiegata per produrre l’idrogeno e quella ricavata nella fase successiva di combustione non sarebbero proporzionate, rendendo l’intero sistema poco vantaggioso dal punto di vista energetico.

Anche sul fronte delle prestazioni, il motore da 180 W risulta meno potente rispetto a quello di molte e-bike tradizionali, che possono raggiungere potenze del 50% superiori. A questo si aggiunge il prezzo, significativamente più alto rispetto a molte e-bike di fascia media.

Un’innovazione da tenere d’occhio

In definitiva, le e-bike a idrogeno rappresentano una nuova frontiera della mobilità sostenibile, ancora in fase di sperimentazione, ma con interessanti sviluppi potenziali. La loro diffusione su larga scala potrebbe contribuire a ridurne i costi e migliorarne l’efficienza, ma per ora restano un’opzione di nicchia, adatta a chi cerca soluzioni alternative e all’avanguardia.

Come ogni nuova tecnologia, richiede tempo, investimenti e spirito critico. Ma è certo che, in un’epoca in cui la sostenibilità è al centro delle scelte individuali e collettive, anche l’idrogeno – se usato con intelligenza – può trovare il suo spazio nel mondo della mobilità dolce.

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