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Sicurezza stradale? Per Zerosbatti c’è ancora tanto da fare.

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Nel 2023 ben 197 ciclisti sono morti per incidenti sulle strade. Questo è l’impressionante dato fornito dall’Osservatorio Asaps, Associazione Amici e Sostenitori della Polizia Stradale. Per molti di loro la notizia passa sui media con la velocità di un fulmine, consumata nel mezzo delle migliaia di news che presto vengono dimenticate. Ci sono però poi casi come quello di Davide Rebellin che, per l’importanza del personaggio, restano nella memoria e nelle cronache. Bisogna però andare oltre, capire se dietro tutti questi drammi si muove qualcosa.

Nel 2023 ben 197 ciclisti sono morti per incidenti sulle strade. Questo è l’impressionante dato fornito dall’Osservatorio Asaps, Associazione Amici e Sostenitori della Polizia Stradale. Per molti di loro la notizia passa sui media con la velocità di un fulmine, consumata nel mezzo delle migliaia di news che presto vengono dimenticate. Ci sono però poi casi come quello di Davide Rebellin che, per l’importanza del personaggio, restano nella memoria e nelle cronache. Bisogna però andare oltre, capire se dietro tutti questi drammi si muove qualcosa.

Ogni volta che si parla di un incidente stradale che riguarda un ciclista si dice che bisogna fare qualcosa per impedire la strage e ancor di più queste parole sono risuonate dopo la scomparsa dell’ex professionista. Ma si è smosso qualcosa? L’avvocato Federico Balconi, uno dei fondatori dell’associazione Zerosbatti che si occupa proprio della sicurezza stradale, è in tal senso alquanto pessimista.

«Ci sono proposte di legge inquadrate nel progetto di riforma del codice della strada che paradossalmente sono peggiorative. Basti pensare alla legge 148 che riguarda la normativa di sorpasso: quella attuale prevede che si possa fare quando non vengono limitate le condizioni di sicurezza del ciclista. Nella nuova versione, quella resa famosa dal metro e mezzo di distanza da tenere, si parla invece di “qualora le condizioni della strada lo consentano”. In caso di incidente l’automobilista si sentirà quindi autorizzato a incolpare eventuali restringimenti, non la sua azione».

Molte città però si stanno battendo per introdurre il limite di 30 chilometri all’ora, potrebbe essere un vantaggio? «In città sì, ma ricordiamoci che parliamo esclusivamente di uso urbano della bici, come mezzo di spostamento. L’esempio di Bologna è chiarissimo, non solo per il fatto che dalla sua introduzione gli incidenti si sono ridotti del 70 per cento, senza contare la ridotta gravità di essi, ma che proprio con l’adozione della nuova norma sono aumentati i ciclisti, perché la gente si sente più sicura e preferisce usare la bici per andare al lavoro, guadagnandoci in salute e, perché no, anche in tempo».

In alcune città però, come a Genova dove l’amministrazione locale ha investito moltissimo sulle piste ciclabili portando la città nella Top 5 nazionale come numero di chilometri, la cittadinanza si è mostrata contraria: «C’è ritrosia, lo sappiamo – ammette Balconi – ma noi dobbiamo lavorare per una nuova cultura che promuova città più salubri. Guardate quel che è successo a Parigi: nessuno le voleva ma l’amministrazione le ha imposte e oggi tutti si dicono favorevoli. Bisogna superare i pregiudizi e si può fare solo con opera di convincimento».

E fuori città, dove il ciclismo diventa più patrimonio degli sportivi? «La situazione resta drammatica, servirebbero controlli che non ci sono a sufficienza. Ogni volta che un automobilista sorpassa rischi tantissimo. Poi vai in Francia e vedi i ciclisti che pregano gli automobilisti di sorpassarli, anche su strade molto larghe… serve un cambiamento culturale e devono farsene motori anche le aziende produttrici di bici, se vogliono vendere il loro prodotto. Le norme che ci sono sarebbero anche sufficienti, ma dobbiamo lavorare tutti insieme per cambiare proprio il modo di pensare la circolazione stradale».

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